Com’era cominciato tutto?
Mentre allucinavo visioni e pensieri con lo sguardo perso nella fiamma,
provai a ricordare. L’inverno scorso tenevo in mano un sacchetto di
chicchi di mais, quattro o cinquemila, pochi pugni. Il seme me l’aveva
procurato un amico, da un contadino della zona, una varietà locale.
Tenevo quel sacchetto in mano e non sapevo bene cosa farmene. Qualche
settimana dopo conobbi Alvise, fu lui il primo sostenitore di
quest’esperimento. A primavera seminammo, chicco dopo chicco,
spingendoli dentro la terra con la pressione leggera di un dito e
ricoprendoli. In quella terra che sembrava così forte, minuscole
piantine di mais fecero capolino da lì a dieci giorni. E quattro mesi
più tardi, nella vampa d’agosto, altissime canne dominavano il campo
serrando le file. E ora quel sacchetto che avevo tenuto in pugno si era
trasformato in un abbondante raccolto, trecento volte tanto.
Alvise mi ha spesso fatto
capire che coltivare non è solo un gesto antico ma anche un atto di
fede. Per quanto il contadino possa essere esperto della sua terra c’è
sempre qualcosa che sfugge alla comprensione umana. È il miracolo della
vita, nel quale alcuni vedono la mano di Dio e altri l’abbraccio materno
della Madre Terra. Comunque lo si chiami rimane un miracolo tanto più
grande quanto più lo si avvicini.
Devis Bonanni-La pecora nera
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