C' è il vento e c' è la bora. Il vento, dice Stendhal, è quando «si è
costantemente occupati a tenere stretto il cappello». Bora è quando
«si ha paura di rompersi un braccio». La bora desertifica strade,
affonda barche, scoperchia case, rovescia treni, sradica alberi,
sbriciola tegole e staccionate, trasforma i moli in banchisa e gli
alberi in foreste di cristallo, prende di petto gli aerei e li fa
atterrare da fermi come aquiloni. Quand' è gentile, si limita a rubare
cappelli, a far volare ombrelli, alzare gonne e gonfiare pastrani. «La bora - scriveva Scipio Slataper - è il tuo respiro, fratello
gigante». Essere triestini non è solo un' origine geografica. è una
categoria dello spirito. I triestini sono una razza inquieta di
esploratori di bettole e grandi spazi aperti. In entrambe le direzioni,
la bora dà loro la spinta determinante, li obbliga a trovar rifugio
al chiuso di una taverna piena di fumo, ma li invita anche al viaggio,
ripulisce l' orizzonte e lo propone come meta. «Quando vidi il mare
pulirsi - racconta Scipio Slataper - e sentii fremere intorno a me l'
aria, giungendomi alla pelle un piacevole frizzo e alle nari un fresco e
leggero odore di sassi e di pini, allora capii cos' era. Nasceva la
bora». è un vento solido, quasi liquido. è alta poche decine di metri.
Si forma nel vallone fra Trieste e Lubiana,si comprime come un
proiettile nelle lande sotto il monte Nevoso, poi se ti becca son
dolori. Devi aggrapparti all' erba secca per non volare come un vecchio
barattolo. Talvolta comincia con un ululo cupo e la pioggia, poi il
fischio diventa una nota continua, sempre più bassa. Allora la
temperatura scende, impercettibile, ma regolare. I friulani ne hanno
paura, la chiamano «Vent sclàf», vento slavo, facendo del vento una
metafora demografica, simbolo della massa nomade e bellicosa che preme
sulle pianure padane e dintorni. Il poeta triestino Umberto Saba amò
la bora scura, quella che spacca tutto col cielo nero. Odiò invece
quella solare, artica. «Conosco la bora, chiara e scura, la detesto
quando scende fuori misura con cielo sereno. Amo l' altra che ha una
buia violenza cattiva». E aggiunse: «Io devo recuperare la bora /
oppure qui affondare / nel mio paese natale / nella mia triste Trieste /
nella mia Trieste triste / che amare è impossibile / e odiare anche».
E Tomizza, il poeta istriano di «Materada». La bora, scrisse, «porta
ognuno a ritrovare una parte di se stesso rimasta immutata dai giorni
dell' infanzia, e nel contempo uguaglia tutti, rendendoli anche
solidali fra loro, fedelmente attaccati a questo unico e composto
margine di terra che ogni tanto, con la bora appunto, dichiara la sua
assolutezza e la sua irripetibilità».
- PAOLO RUMIZ
bellissimo pezzo
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